Un Bombarolo

There is nothing, nowhere, neither on earth nor in heavens, that can make the true untrue or the untrue true. (Bartolomeo Vanzetti)

Su Halloween e altre tregende

Stasera si festeggia Halloween, in un tripudio di scheletri, zombie, zucche svuotate e luoghi comuni. Halloween ci piace, ci piacciono i bambini che mangiano dolci e comprano nuove auto ai dentisti, ci piace questa atmosfera da carnevale un po’ dark, anche se non fa parte della nostra tradizione secolare. Chi se ne frega, è una festa, le feste vanno sempre bene. C’è un sacco di gente che deve fare la strana, e allora tira fuori strane obiezioni, pro o contro Halloween, e questo mi piace un po’ meno.

“Non è una roba nostra, l’abbiamo imparata dagli americani” va per la maggiore. Abbiamo imparato anche a masticare gomme, mangiare hot dog e hamburger, votare attori, bere CocaCola e molte altre cose decisamente più dannose, dagli americani, ma nessuna come Halloween suscita la disapprovazione del popolo. È una cosa che mi incuriosisce molto.

“Non è Halloween, è la vigilia di Ognissanti” è bellissima. L’etimologia di Halloween è proprio “la sera di Tutti i Santi”, tutte le feste cristiane iniziano la sera prima, è un retaggio della cultura ebraica secondo cui il giorno inizia e finisce al tramonto. Infatti, a Natale c’è la Messa di mezzanotte e a Pasqua la veglia, la sera del sabato. Quindi, Halloween È la notte di Ognissanti, per definizione. Non sono cose antitetiche.

“Non è la festa di Satana, è una festa celtica” è anche meglio. Significa semplicemente dimenticare che tra l’estinzione dei celti e gli smartphone ci sono state alcune decine di secoli,  in cui, sulle tradizioni antiche, si sono accastellate diverse culture, rendendoci quello che siamo ora. È come dire che Natale, in fondo, è la festa del solstizio d’inverno dei Celti, o la festa del Sol Invictus dei Romani (quelli che parlavano latino). Natale è il 25 dicembre perché in quel periodo cadevano delle importanti festività dei popoli precedenti che, attraverso un processo di sincretismo, si sono fuse con l’Hanukkah ebraica fino a dare il nostro Natale. Halloween, in effetti, cade in concomitanza con una festa celtica molto antica Samhain, che indicava la fine del “semestre luminoso” e l’inizio del “semestre oscuro”.

Oltre a Samhain e al solstizio d’inverno, che già abbiamo visto come sono stati sincretizzati in festività cristiane, anche la festa dell’equinozio di primavera era molto sentita dai popoli preromani dell’Europa centrale: questa è stata associata alla Pasqua ebraica e oggi festeggiamo la Pasqua cristiana “la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera”, una definizione che denuncia in pieno tutta la sua origine astronomica. Così come il Cristianesimo, anche i maghi e i satanisti, nel corso dei secoli, si sono “appropriati” delle festività celtiche e in generale precristiane, adattandole ai loro riti e alle loro credenze.

Un sabba d'altri tempi, con diversi demoni che partecipano insieme alle streghe e agli stregoni.

Un sabba d’altri tempi, con diversi demoni che partecipano insieme alle streghe e agli stregoni.

Il 21 dicembre, che già abbiamo visto al centro di diversi festeggiamenti religiosi per Celti, Ebrei e Cristiani, è considerato dai satanisti come “prima notte di Tregenda”, uno dei principali sabba dell’anno, in cui il sesso ha il ruolo predominante.

Il 2 febbraio, la Chiesa ricorda la presentazione di Gesù al Tempio, una festa chiamata spesso Candelora. Per i Celti, il primo febbraio, festa di Santa Brigida, era la fine della parte più dura dell’inverno, una pre-festa di primavera (peraltro, il proverbio dice “alla Candelora de l’inverno siamo fora, ma se piove o tira vento nell’inverno siamo dentro”, il concetto è passato anche ai Cristiani). I satanisti, la notte di Candelora preparano le candele per i riti di tutto l’anno, condendo il rituale con sacrifici di animali e un sabba a sfondo sessuale.

Il 21 marzo, equinozio di primavera, già citato per la Pasqua, è la seconda notte di Tregenda, la festa del sabba della fertilità, dove, nuovamente, i riti satanici si incentrano sul sesso.

Il 30 aprile, in un periodo non molto considerato da Ebrei e Cristiani, ma in concomitanza con una delle feste più importanti del calendario celtico, Beltane, si festeggia la notte di Valpurga, un sabba dedicato al denaro e alle ricchezze, che culmina con sacrifici, sia di animali che umani. La tradizione celtica vive in certe regioni italiane nei riti di Calendimaggio, a cavallo tra fine aprile e inizio maggio, con le prime fienagioni e l’inizio della stagione dei raccolti estivi. La notte di Beltane è una di quelle in cui il mondo dei vivi e quello dei morti sono più vicini, per questo streghe e maghi concentrano i loro sforzi in questa occasione.

Il 21 giugno, solstizio d’estate, si festeggia la terza notte di Tregenda, con un nuovo sabba dedicato al sesso, come per la prima notte di Tregenda, con orge e sacrifici. Il giorno di mezza estate è tutt’ora celebrato in molti paesi nordici, vista la grande rilevanza della luce nella vita di chi abita a grandi latitudini: questo basta a capire quanto questa tradizione di origine celtica sia ancora radicata.

Il 31 luglio, vigilia della festa celtica di Lughnasa, in cui si festeggiava il raccolto, i matrimoni, le pacificazioni, le unioni, mentre i satanisti, nella notte prima del primo agosto, festeggiano con sacrifici umani e animali.

Il 21 settembre, equinozio di autunno, ha luogo la quarta ed ultima notte di Tregenda, con un sabba dedicato alla conoscenza demoniaca, in cui si svolgono orge e mutilazioni di vittime sacrificali. Anche la festa di San Patrizio, figlia della tradizione celtica dell’equinozio di autunno, si celebra in quei giorni: una delle feste che in Irlanda, dove il sincretismo tra politeismo celtico e cristianesimo è più forte.

Il 31 ottobre, infine, si celebra il capodanno di Satana, nel giorno del suo compleanno. Come per Beltane, nella notte che sta arrivando il mondo dei vivi e quello dei morti si confondono e comunicano, rendendo ogni rito satanico più semplice e più efficace. Ogni desiderio, purché turpe e immondo, se suffragato da sacrifici umani o da deflorazioni di vergini potrà essere esaudito dal Maligno, in questa notte. Il sabba più importante dell’anno si svolge quindi nella notte di Halloween, insieme a tutti i rituali delle altre religioni.

Non so cosa ne pensiate voi, ma a me tutto questo piace un sacco.

Siamo tutti bravi, il giorno dopo.

Per la serie “articolo di merda del giorno”, oggi vediamo la perla de La Stampa.

Sul sito di 3BMeteo (che apprezzo e seguo con una certa regolarità), fino a giovedì non si prevedeva niente di eccezionale. Il bello del sito di Brivio è che dà l’attendibilità delle previsioni: è quasi sempre 90% (che vuol dire NON 100%, val la pena sottolinearlo), dopo l’alluvione hanno cambiato le previsioni (e ci sta, le rifanno ogni tot ore, non una volta al mese) e abbassato l’attendibilità.

Mercalli parla perché lo intervista Fazio (e non dovrebbe essere titolo di merito, in un modo civilizzato). Prevedeva casino sul Ponente: Bravo Luca, peccato che avresti chiuso le scuole di Varazze ed è esondato l’Entella a Chiavari.

Saffioti mi delude profondamente. Il giorno 8 Limet scriveva:
“la sopracitata depressione nord-atlantica migrerebbe verso sud-est, tentando di sfondare sul comparto europeo centro-occidentale. Un’evoluzione di questo tipo non porterebbe nulla di buono per la Liguria. Ma non allarmiamoci, la distanza temporale, assieme al margine di cambiamento previsionale, è ancora discretamente ampio”
Il giorno 9 diventa più drastico
“Per oggi la giornata di oggi lo stato del tempo cambierà ben poco, anzi peggiorerà ulteriormente con alto rischio di temporali autorigeneranti sul settore centrale costiero con conseguenti accumuli di pioggia elevati.
La collocazione dei fenomeni più intensi sarà stabilita dalla posizione che assumerà la convegenza dei venti al suolo, ossia lo scontro tra lo scirocco caldo e umido in risalita da SE e la tramontana fredda e secca in discesa da N. Indicativamente dovrebbe essere tra Savonese orientale e Genovesato.”

Per fare un confronto, ARPAL l’8 annunciava:
“Si potranno avere temporali forti, organizzati e persistenti, con maggiore probabilità dei fenomeni sul centro della regione e, in misura minore, su Tigullio ed entroterra savonese. Nel complesso dell’evento sono previsti quantitativi di pioggia areali significativi.”
Giovedì 9 il bollettino della Protezione Civile riporta
“L’Arpal ha emesso un bollettino di avviso meteo che attende temporali forti estesi e diffusi per tutta la giornata che potrebbero provocare allagamenti ad opera di piccoli canali/bacini con possibili piene improvvise di piccoli rii; fenomeni di rigurgito del sistema di smaltimento delle acque piovane con coinvolgimento delle aree urbane più depresse. Possibili allagamenti e danni ai locali interrati, provvisoria interruzione della viabilità, specie nelle zone più depresse, scorrimento superficiale nelle sedi stradali urbane ed extraurbane. Eventuale innesco di locali smottamenti superficiali dei versanti. Possibili disagi alla viabilità e danni localizzati a strutture provvisorie e vegetazione per locali forti colpi di vento, trombe d’aria, grandine e fulmini. Occasionale pericolosità per l’incolumità delle persone e beni.”
Non mi pare che Limet abbia previsto l’apocalisse e ARPAL niente, ma forse sono io che non capisco l’italiano.

Antonio Sanò, con inattesa onestà intellettuale, ammette che le previsioni NON indicavano criticità. Per una volta, ilmeteo.it si dimostra coerente. La chiosa del dirigente ARPA Emilia Romagna è poi significativa. “I falsi allarmi sono dannosi come i mancati allarmi”. Non è del tutto vero (nessuno muore di falso allarme), ma nemmeno del tutto falso.

In questa settimana si sono susseguiti gli stati di attenzione e di avviso, prima dell’alluvione, e i cartelli in strada riportavano la probabilità di forti temporali. Questo messaggio non è arrivato. Alla popolazione arriva solo la massima allerta, il resto si perde nel rumore di fondo della comunicazione 2.0. Tanto varrebbe avere solo due stati, “RAGA TUTTO REGO” e “MERDA COI PINOLI”.

Sono depresso e affranto, sia per la tragedia che ha colpito la mia città, sia per l’irrazionale caccia al capro espiatorio che l’ha seguita. La grandezza della tragedia è compensata dall’azione dei tanti volontari che stanno ripulendo la città, un esempio per tutti, non solo in Italia; la pochezza e lo squallore della seconda invece, saranno dimenticati alla prima giornata di campionato e questo, se da una parte mi consola, perché finiranno le polemiche, dall’altra mi deprime ancora di più.

Le sirene e la Concordia.

Stamattina la Costa Concordia ha lasciato l’Isola del Giglio, dove si era arenata 30 mesi fa, alla volta di Genova, dove sarà smantellata. La nave è lunga quasi 300 metri, larga 35 e alta 70, era al 35º posto tra le più grandi navi da crociera del mondo. Al momento del naufragio, a bordo si trovavano 4229 persone. Di queste, 32 hanno perso la vita: ciononostante, anche complice la “fortuna” che ha fatto sì che il relitto si adagiasse su un fondale poco profondo, si tratta della più grande operazione di salvataggio in mare mai eseguita. La professionalità dei membri dell’equipaggio è stata premiata dai Lloyd’s di Londra, che ha assegnato loro il titolo di “marinai dell’anno 2012“. Potrà sembrare strano, visto che i nostri media si sono dilungati molto di più sul capitano “poco coraggioso” e su altre note negative, ma, per chi con il mare convive ogni giorno, la reale portata dell’evento è stata questa, il miracolo di aver salvato oltre il 99% delle persone che erano a bordo. Per confronto, nel 1994, nel naufragio della Estonia morirono 852 delle 989 persone che erano a bordo.

La "bandiera papa" sul ponte più alto della Costa Concordia, segnale di "pronti a lasciare il porto".

La “bandiera papa” sul ponte più alto della Costa Concordia, segnale di “pronti a lasciare il porto”.

Ieri la Concordia ha issato la bandiera che, nell’alfabeto nautico, indica la P, “papa”. Questa bandiera significa “la nave sta per lasciare il porto”. Per percorrere le 200 miglia che la separano da Genova impiegherà alcuni giorni, scortata da una piccola flotta. Due rimorchiatori d’altura, uno olandese e uno di Vanuatu, due rimorchiatori antincendio, uno britannico e uno spagnolo, diverse navi per il monitoraggio ambientale, francesi, britanniche e italiane, alcuni rimorchiatori italiani che portano le barriere per il contenimento di eventuali inquinanti, una nave appoggio panamense, a cui si uniranno alcune unità militari italiane e francesi sicuramente, durante il tragitto.

La prima parte della procedura di recupero è consistita nella costruzione di una struttura sottomarina su cui “appoggiare” il relitto, che è stato poi raddrizzato su di essa. Al relitto sono stati saldati dei cassoni che, opportunamente svuotati dall’acqua, hanno consentito il rigalleggiamento della nave. La sola operazione di svuotamento dei cassoni è durata svariati giorni, l’allestimento dei cassoni parecchi mesi. Non facciamo fatica ad immaginare la soddisfazione di chi ha lavorato, in questi due anni e mezzo, quando la prua si è orientata verso il mare aperto e la Concordia ha intrapreso il suo viaggio. Stamattina le sirene l’hanno salutata alla partenza, se tutto andrà bene, la settimana prossima commenteremo il più grande recupero di un relitto mai effettuato.

Non dimentichiamo le vittime e il dolore di questa tragedia, ma non dimentichiamo nemmeno l’enorme lavoro che è stato fatto, dai primissimi istanti fino ad oggi, per rimettere il più possibile tutto a posto, uno sforzo senza precedenti, nel vero senso della parola.

Quello che vorrei sentirmi dire da un Partito.

Non sono un fan di Renzi e credo che non sia una novità. Non amo Grillo né il suo movimento, e anche questo penso sia più che noto. Questo mi mette in difficoltà, perché non amo disperdere il mio voto. Bello votare una volta nella vita il piccolo partito eroico che, alla fine, prenderà lo 0,8% dei voti, ma non può diventare un’abitudine: ogni tanto, le elezioni bisogna anche vedere di vincerle, ché non sono le olimpiadi. In questi giorni, leggo su Twitter degli interventi al Congresso di SEL. Ci sono cose che leggo volentieri, altre meno, alcune mi lasciano indifferente.

Quello che vorrei sentirmi dire, in fondo, non è così difficile o estremo. Vorrei innanzi tutto che il mio Partito Immaginario si presentasse come un partito di sinistra. Sinistra e destra non sono concetti superati. Sono concetti che, nel tempo, hanno cambiato connotazione: è cambiata la società e, insieme, è cambiato il modo in cui la politica può dare risposte ai problemi. Non è cambiata la differenza di approccio tra chi crede che la società debba essere più presente nel proteggere i suoi membri più deboli, o più “leggera”, in modo da non rappresentare un peso per i suoi individui più forti. Questa distinzione non credo potrà mai diventare obsoleta, chi dice il contrario, di solito, vuole essere di destra ma si vergogna ad ammetterlo.

Essere di sinistra, per il Partito Immaginario, significa confrontarsi con gli altri partiti che si dichiarano di sinistra. Ovviamente, il PD in primis. Io credo che, per un partito di sinistra, attaccare il PD sia una scelta stupida e sbagliata, ma molto semplice, se non si ha la forza di esprimere idee interessanti. Il mio PI dovrebbe collocarsi a sinistra del PD e dichiarare la sua volontà di non essere alternativo a questo, ma complementare. Dovrebbe spingere per un’alleanza eterna col PD: a chi arguisse “ma allora tanto vale essere una corrente nel PD”, dovrebbe ribattere che non è così, due partiti alleati, tra centro-sinistra e sinistra, possono far meglio di uno. Possono dirigere il timone di un Governo secondo il loro peso relativo, cioè secondo la volontà degli elettori. Non è poco. Dovrebbe voler essere al posto del NCD, non attaccare il PD perché è con il NCD.

Naturalmente, dovrebbe avere delle idee. Alcuni slogan la sinistra li ripete da sempre, e non vanno mai a male. Internazionalismo, pacifismo, equa distribuzione delle ricchezze, uguaglianza, meritocrazia, ad esempio. Internazionalismo non vuol dire perdita dell’identità nazionale, vuol dire portare la propria esperienza e ricchezza e accrescersi condividendo con gli altri. Pacifismo non vuol dire “basta F35”, vuol dire “spingiamo per un vero processo di pace in Medio Oriente”: quando non ci saranno focolai di guerra per ogni dove, potremo anche dire “basta F35”. Equa distribuzione non vuol dire reddito di cittadinanza, vuol dire salari equi e tassazione ragionevole: oggi sono troppo bassi i primi e troppo alta la seconda. Uguaglianza non vuol dire omologazione, ma dare a tutti le stesse opportunità. Meritocrazia non ha bisogno di spiegazioni, ed è anche la logica conseguenza dell’uguaglianza come l’ho definita ora.

Oltre questi grandi temi, ce n’è uno che, secondo me, andrebbe affrontato con grande determinazione. Se si parla tra dipendenti, magari statali, l’opinione comune è che tra professionisti e imprenditori ci siano avvoltoi, evasori fiscali, sfruttatori della manovalanza, ogni sorta di malfattori. Se si parla tra imprenditori o commercianti, i dipendenti pubblici diventano fannulloni, burocrati, succhiasangue incompetenti. C’è, secondo me, una stratificazione di problemi, che ci porta a questo. Lo Stato ha le sue responsabilità, tra l’incapacità di raccogliere le tasse, il regime fiscale pazzesco, le sacche di inefficienza e la mancanza di incentivi o punizioni per i suoi dipendenti buoni o cattivi. Da lì, secondo me, lo Stato dovrebbe ripartire per ritrovare credibilità presso i suoi cittadini. Una volta si diceva “lavorare meno, lavorare tutti”, oggi io direi “lavorare meglio, essere più felici”.

Non chiedo tanto, ma, rispetto a quello che trovo, chiedo troppo.

5 aprile 1994 – 5 aprile 2014

Vent’anni fa, nella serra della sua casa sul lago, Kurt Donald Cobain si toglieva la vita con un colpo di fucile alla testa, dopo aver abusato di eroina e Valium.

Di lui sono state dette molte cose. Genio, drogato, pazzo, mito, poeta. Ma anche, ad esempio, che puzzava di Teen Spirit, un deorodante piuttosto comune, in America.

Secondo molti, Cobain è stato uno dei più grandi musicisti degli anni Novanta. Secondo me, il grunge, e quindi i Nirvana, è stato l’unico movimento musicale davvero nuovo degli ultimi trent’anni, ad esclusione del rap, che però ha più nell’accezione sociale che musicale in senso stretto il suo senso. È facile idealizzare quello che si amava ai tempi del liceo, quindi sicuramente sono di parte, quando parlo del grunge. Tenetene conto. Il grunge è figlio del punk e del metal. Il punk era ribelle, anarchico, irriverente; il metal duro, cattivo, arrabbiato: il grunge è rassegnato. La stessa minoranza schiacciata dal rampantismo degli anni Ottanta, dalla Thatcher e da Reagan, da Craxi e Italia1, dall’ubriacatura ottimista e festaiola a base di cocaina e soldi facili, prima ha provato a ribellarsi e poi si è emarginata da sola. Con meno rabbia, con meno nemici e con più amore, ma senza nessuno a cui darlo.

Quanto può essere ancora attuale un approccio del genere non lo so. Se il punk era l’espressione più estrema della generazione X e il grunge era già tipico della generazione Y, ormai mi sa che siamo oltre la Z. Da una parte, il senso di emarginazione in una società fatta di persone convintissime delle proprie opinioni, che siano mutuate da Renzi, Grillo o Berlusconi, è ancora forte. Anzi, fortissimo. Dall’altra, la coscienza collettiva è molto evoluta, da allora. Si parla di ambiente, sviluppo sostenibile, globalizzazione. Il mondo è diverso, sotto tanti punti di vista. Non necessariamente migliore, ma diverso sicuramente. È difficile pensare Miley Cyrus o Lady GaGa che fanno un concerto come l’Unplugged in New York del 1993, secondo me. Vale ancora la pena di ascoltare quel concerto, però.

Kurt Cobain è morto vent’anni fa e le sue canzoni sono ancora vive, le sue musiche pesanti come la pioggia d’inverno e le sue parole leggere come la cenere nel vento. Le più profonde, per me, sono le ultime frasi della sua lettera di addio, trovata vicino al suo cadavere.

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“Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.”

Malesia, marzo 2014.

Mi sembra evidente che la crisi della Red Bull non fosse così insormontabile. Sicuramente la Mercedes va davvero forte, ma anche gli amici austriaci sembrano in grado di difendersi decorosamente. Un po’ meno la Ferrari, anche per il colpo di sfortuna capitato a Raikkonen al primo giro. Di fatto, gli incidenti al primo giro sono stati tra gli eventi più interessanti della gara, comunque. Fortuna che ad un certo punto è arrivato il panico che si potesse mettere a piovere. Che poi la pioggia non è che renda le gare più divertenti, le incasina soltanto. Con un regolamento idiota che prevede di usare due tipi di gomme diversi durante la gara, a meno di pioggia, c’è chi si inventa di andare con le option (cioè, delle due mescole di gomme da asciutto, le più morbide) finché può sperando nella pioggia. Schizofrenia allo stato puro.

Campione del mondo della sfortuna è Ricciardo, per oggi. Parte benissimo, guida forte, intorno al quarantesimo giro si ferma per cambiare le gomme, non gli chiudono un dado, si ferma a metà pit lane con l’anteriore sinistra che sballonzola, viene spinto indietro a braccia per fissare la ruota, riparte con un giro di ritardo. Non finisce il giro che perde l’alettone anteriore, prendendo un cordolo in modo un po’ maleducato, si riferma per sostituire il pezzo e rientra in tempo per ricevere la comunicazione che deve scontare 10 secondi di stop&go perché la squadra l’ha rimandato in pista in condizioni di non perfetta sicurezza. Oltre il danno, la beffa: dalla quarta all’ultima posizione e con un distacco incolmabile. Si conferma l’alone di sfiga che attanaglia i compagni di squadra di Vettel.

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Ricciardo ai box, un’immagine ricorrente del GP di Malesia 2014.

Nel frattempo, la gara finisce senza pioggia, con Hamilton, Rosberg e Vettel sul podio. I NoEuro potrebbero arguire che questo predominio tedesco è inaccettabile, ma tant’è. La Mercedes va davvero forte, probabilmente aveva un margine più grande di quello che si è visto in gara. La Red Bull non è in crisi come sembrava qualche settimana fa (o, almeno, gli altri sono più in crisi di lei). La Ferrari fa quello che può, fortuna a parte, la macchina non sembra un bijoux. Un’ottima impressione la dà la Force India (che comunque ha un motore Mercedes) che con Hulkenberg ha messo a dura prova Alonso, in una (forse l’unica) bella lotta per il quarto posto negli ultimi giri. Alla fine l’ha spuntata Alonso, che, a giudicare dalla TV, ne aveva molto molto di più di Hulkenberg. Ora possiamo con calma attendere che controllino la benzina, il fondo, il taglio di capelli dei piloti e le interiora di alcuni animali sacrificati agli dei per sapere se la classifica sarà confermata o modificata come due settimane fa.

Vorrei concludere con una considerazione sui regolamenti. Si sono inventati l’alettone posteriore mobile (un aborto dal punto di vista della sicurezza che non si era mai visto, nemmeno ai tempi dei rifornimenti in pista con la benzina in pressione) per facilitare i sorpassi e le gomme che durano cinquanta chilometri per creare casino ai box. Tra gli effetti collaterali di questa seconda regola, ovviamente, spicca il fatto che lo spettacolo ai box sia uno spettacolo solo agli occhi di pochissimi disagiati, ma c’è un altro aspetto particolarmente importante. Più le gomme sono “fragili”, più rilasciano trucioli lungo la strada. In tutte le inquadrature ravvicinate si vede la traiettoria pulita e il resto della carreggiata pieno di spazzatura. Un pilota che volesse sorpassare, può aprire l’alettone, prendere la scia, uscire dalla traiettoria e iniziare a pregare in tutte le lingue che conosce: raccogliendo una montagna di trucioli con le sue gomme, infatti, perde un sacco di efficienza in frenata, fondamentalmente vanificando il vantaggio dell’alettone mobile.

Ancora una volta complimentoni a chi scrive i regolamenti tecnici, gli amanti della Formula 1 vi ringraziano dal profondo del cuore.

Di navi fantasma e scorie nucleari

Una ventina di giorni fa, una nave bianca e blu, presumibilmente battente bandiera russa, ha attraccato al porto militare di La Spezia per caricare, in massima segretezza, del materiale da portare a destinazione ignota. Vigili del fuoco vestiti da astronauti, mezzi militari ovunque, gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Pare che nei registri del porto non sia rimasta traccia né dell’attracco, né del carico, né della partenza di questa nave fantasma.

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Già pochi giorni dopo il grosso del mistero si era attenuato molto, con il Prefetto che spiegava come si trattasse di “sostanze fissili non irraggiate” (definizione curiosa, almeno all’orecchio di un fisico nucleare) trasportate dal Centro Italia alla Spezia per essere rimosse definitivamente dall’Italia. Il Secolo parla di plutonio, che, a rigore, non corrisponde alla definizione del Prefetto, visto che il suo isotopo fissile più comune, il Pu239, si ottiene facendo assorbire un neutrone all’isotopo 238 dell’uranio, cioè irraggiandolo, ma non andremo così tanto per il sottile.

Più interessante è il riferimento al vertice sulla sicurezza nucleare di Seul del 2012, nel cui documento finale si legge:
“Riconoscendo che l’uranio altamente arricchito (HEU) e il plutonio purificato richiedono precauzioni speciali, noi sottolineiamo ancora una volta l’importanza di tenere sotto controllo, mettere appropriatamente al sicuro e consolidare questi materiali. Incoraggiamo anche gli Stati a considerare una sicura, affidabile e immediata rimozione di tutto il materiale dagli impianti non più in uso, come si ritenga appropriato e in accordo con la sicurezza nazionale e gli obiettivi di sviluppo.”

L’Italia ha rinunciato alle centrali nucleari per uso civile con un referendum nel 1987 (e tuttora attendiamo, ad esempio, un sito per lo stoccaggio del materiale fissile, fissionato e irraggiato, che, val la pena sottolinearlo, non è soltanto derivante dalle centrali nucleari, ma anche da diverse altre attività, non ultima la medicina), ribadendo questa decisione con un altro referendum nel 2011. Inoltre, ha aderito al Trattato di Non Proliferazione Nucleare nel 1969, tra i primi paesi al mondo. La presenza di HEU e plutonio purificato in Italia aveva quindi solo scopi di ricerca e di sviluppo, ad esempio, di sistemi per la sicurezza nei trasporti, per scoprire se qualcuno trasporta materiale fissile nascosto in un container, per dire. La quantità di materiale fissile per questo tipo di attività, comunque, poteva e doveva essere ridotta al massimo, visto che, di fatto, si tratta della stessa roba con cui si fanno le bombe.

Il Governo italiano aveva pianificato, al più tardi nel 2012, la rimozione di tutto il materiale fissile dal territorio italiano entro il summit per la sicurezza nucleare del 2014, che si sta tenendo in questi giorni. Questa decisione era nota nell’ambiente da tempo, come si può vedere qui e qui, ad esempio. Che cosa facesse e da dove venisse la nave incriminata a La Spezia si poteva scoprire sul sito dell’armatore (scoprendo tra l’altro che si tratta di una nave britannica) e, a quel punto, il puzzle sarebbe stato quasi completo. Il Nuclear Security Summit 2014 è in corso in questi giorni e, prontamente, la Casa Bianca si congratula con l’Italia per aver completato l’opera di rimozione del materiale fissile in eccesso dal suo territorio.

Il mistero è svelato, come ci dice anche il Secolo, ma ne resta uno ancora più profondo ed inquietante: perché nascondere la verità, fomentando complottisti e deficienti di ogni sorta, quando bastava raccontare questa storia, semplice, linda e tutto sommato rassicurante, già il giorno dopo la partenza della “nave misteriosa”?

Weekly Photo Challenge: Reflections

Cloud Gate, a must!

cloudgate

700 anni fa.

Il 18 marzo 1314, a Parigi, avremmo visto un certo trambusto. Su una pira, vicino alla cattedrale di Notre Dame, venivano arsi vivi Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay, rispettivamente ultimo Gran Maestro e Precettore per la Normandia dell’Ordine dei Cavalieri Templari. L’Ordine, dopo essere stato fondato tra la fine dell’XI e linizio del XII secolo, aveva assunto grande importanza nelle Crociate e accumulato grande potere e ricchezza, unendo una vocazione monastica (i cavalieri facevano voti di castità, povertà ed obbedienza) all’appoggio e all’adesione di membri delle famiglie più importanti d’Europa.

Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay vengono arsi vivi in un'illustrazione della fine del XIV secolo.

Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay vengono arsi vivi in un’illustrazione della fine del XIV secolo.

La fortuna dei Templari si interruppe di colpo all’inizio del XIV secolo, quando le voci sulla loro presunta blasfemia divennero insistenti e finirono con l’avvelenare il loro nome. Venerdì 13 ottobre 1307, su ordine del Re di Francia, Filippo IV il Bello, tutti i Templari vennero arrestati e i loro beni confiscati. Con la tortura, Jacques de Molay e gli altri capi dell’Ordine confessarono ogni adddebito, dall’adorazione del diavolo alla sodomia. Per questo furono condannati all’ergastolo e l’Ordine fu sciolto. In seguito, alcuni cavalieri ritrattarono, per cui la condanna passò dall’ergastolo all’esecuzione. Uno strano concetto di revisione del processo, avevano nel Medio Evo.

Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay, come detto, vennero arsi vivi a Parigi il 18 marzo 1314. Da allora, moltissimi ordini e movimenti si sono ispirati ai Cavalieri Templari, attribuendosi una discendenza più o meno diretta dall’Ordine originale. Dai Rosa-Croce, divenuti famosi nel  XVII secolo, ma secondo la leggenda fondati nel XV, a moltissime logge massoniche o ordini militari ed ospedalieri. Insieme agli emuli, poi, sorsero anche un’infinità di leggende, molte delle quali legate proprio alla morte dell’ultimo Gran Maestro.

Pare infatti che, mentre già le fiamme lo avvolgevano, Jacques de Molay abbia avuto il tempo di lanciare un certo numero di maledizioni, tutte fantasticamente avveratesi. I racconti concordano nel ricordare la maledizione lanciata contro il Papa di allora, Clemente V, il Re di Francia e il capo del tribunale che li aveva condannati, dicendo che li avrebbe chiamati a rispondere entro un anno (o entro un anno ed un giorno, a seconda delle fonti) delle loro azioni davanti a Dio. In effetti, nessuno dei tre sopravvisse fino a vedere il 1315. La maledizione era rivolta anche ai discendenti dei tre, fino alla tredicesima generazione: di questi, l’unica discendenza facile da ricostruire è quella di Filippo il Bello, i cui discendenti diretti morirono tutti entro il 1328, esaurendo la dinastia capetingia. Si racconta anche come, al momento dell’esecuzione di Luigi XVI, nel 1793, qualcuno abbia gridato “Jacques de Molay è vendicato”, ma non ci sono registrazioni dell’evento, nemmeno radiofoniche. In ogni caso, Luigi XVI era il ventitreesimo successore di Filippo IV, come successione di sovrani, e non era un suo discendente diretto: nel 1589, infatti, salì al trono Enrico IV di Borbone, designato secondo la legge salica dal suo predecessore, Enrico III di Valois, che era morto senza eredi.

Queste leggende “moderne” sono ritornate in auge in questi giorni, in prossimità del settecentesimo anniversario del rogo. Le imprecisioni sulla successione dei sovrani di Francia e la mancanza di riscontri in lingue che non siano l’italiano portano a non dar troppo peso ad una presunta maledizione ancora in piedi: secondo alcuni, Jacques de Molay aveva predetto anche la fine del Papato entro 700 anni dalla sua morte, cioè entro oggi. Nell’indecisione, fossi stato Papa Francesco, magari una preghierina l’avrei anche fatta, ma senza darci troppo peso.

Per certi versi, però, assistere ad un evento così grande sarebbe stato emozionante, per noi che guardiamo da fuori.

Australia, marzo 2014.

Inizia un nuovo campionato del mondo di Formula 1 e i commentatori parlano di “nuova era” o cose del genre, e hanno anche ragione. Motori turbo 1600cc con un sistema di recupero dell’energia con motori elettrici COMPLICATISSIMO (e costosissimo, con buone pace di budget cap e tante altre sciocchezze sentite gli anni scorsi), musetti bassi raccapriccianti (i regolamenti tecnici non saranno mai semplificati, mai, mai, mai), diversa gestione di ERS e DRS, tecnicamente un po’ di tutto. Nonostante tutte queste rivoluzioni, le macchine continuano ad avere un aspetto tragicamente omogeneo, la varietà del 14 luglio 1979 è irripetibile.

Tra le altre cose, i piloti hanno potuto scegliersi il numero di gara. Anche questa è una novità “relativa”, la Ferrari correva con il 27 e il 28 in tempi in cui le macchine iscritte al campionato erano 24, ma, almeno, finora, le due macchine di una scuderia avevano numeri vicini. Questo anche con le stramberie della Williams, che nel 1992 e nel 1993 corse con lo 0 e il 2, in seguito ai ritiri di Mansell e Prost, campioni del mondo in carica. A proposito di Mansell, noto con dispiacere che nessun pilota ha scelot il 5 (Mansell lo aveva rosso, sulla Williams, che aveva il musetto blu, per ricordare la Union Jack) e nemmeno il 12 di Lauda. Forse è superstizione.

La prima gara è appena finita e si può già fare un primo confronto con le previsioni dei giornalisti. Intanto direi che la Red Bull non va poi così male come l’avevano dipinta. Potrà avere problemi di affidabilità, spesso le soluzioni estreme di Adrian Newey portano a conseguenze fastidiose, tipo i piloti che stanno così stretti da non riuscire a guidare (“non è l’abitacolo troppo stretto, è il pilota troppo grosso”, pare abbia detto un giorno) o il cambio che si surriscalda perché la CocaCola è troppo rastremata. Il ritiro di Vettel potrebbe avere qualche relazione con cose di questo genere: in compenso, Ricciardo, al suo esordio in Red Bull, è arrivato secondo senza apparenti difficoltà.

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Rosberg sulla sua Mercedes, ottimo esempio degli orrendi musetti delle monoposto del 2014.

I motori Mercedes vanno bene. Le macchine coi motori Mercedes vanno bene. Hamilton si è però ritirato per qualche problema di motore, non il miglior biglietto da visita per il pilota di punta del team di punta del marchio tedesco. Rosberg, nel frattempo, dopo una partenza strepitosa e una gara perfetta, ha vinto come vinceva Vettel due anni fa. La Ferrari meh: Alonso quinto, Raikkonen ottavo (tamponato da Kobayashi alla partenza, i posteri sapranno se ha avuto danni al retrotreno che lo hanno rallentato), sicuramente ci si aspettava di più (“sfida tra Mercedes e Ferrari”, dicevano i giornali qualche giorno fa).

In ogni caso, sul podio della prima gara sono andati tre piloti con un’età complessiva di 73 anni: praticamente tre ragazzini, i piloti Ferrari totalizzano 66 anni in due, per dire. Da questo punto di vista, almeno, si può davvero dire che è l’inizio di una nuova era. Per il resto, tra i primi otto, ci sono due Ferrari, due McLaren, una Mercedes, una Red Bull, una Williams e una Force India. La sorpresa Catheram, che in molti prospettavano, sembra sia ancora in fase transizionale, diciamo. In ogni caso, vorrei ricordare che anche l’anno scorso, all’esordio a Melbourne, la Red Bull non era sembrata particolarmente in palla, in gara: vinse Raikkonen su Lotus, davanti ad Alonso, terzo Vettel: il tedesco era partito primo, ma poi la macchina non andava come doveva e, perdendo tempo qua e là, si era trovato dietro dopo i vari cambi gomme. A fine stagione, divenne campione del mondo con 13 vittorie su 19 gare e 397 punti contro i 242 di Alonso, che finì secondo.

La stagione è appena iniziata, la gara non è stata granché, ma si è visto di peggio. Speriamo che la Ferrari ricominci a vincere, così la RAI riprende l’esclusiva per la diretta TV: il commento della BBC è sicuramente meglio, ma chiedere il canone e non trasmettere la Formula 1 è davvero un’infamata.